🍰 𝐀𝐧𝐭𝐢𝐜𝐚 𝐏𝐚𝐬𝐭𝐢𝐜𝐜𝐞𝐫𝐢𝐚 𝐝𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐒𝐯𝐢𝐳𝐳𝐞𝐫𝐢. 𝐏𝐨𝐧𝐭𝐫𝐞𝐦𝐨𝐥𝐢. Sì chiamano gli 𝐀𝐦𝐨𝐫. Un nome che sembra uscito da un romanzo d’altri tempi, un’ode ai piaceri del palato, ma non farti ingannare: questi dolci non sono la solita leziosità da salotto aristocratico. No. Sono una dichiarazione d’amore sfacciata, una carezza sulla guancia che ti lascia l’impronta di zucchero e crema, un bacio denso e bagnato. Immagina: due dischi di cialda sottile, quasi eterei, così fragili che ti sembra un insulto morderli. Ma tu mordi, eccome se mordi. Si sbriciolano in mille frammenti, quasi come se ti stessero dicendo: “Hai osato toccarmi? Allora prendi questo!”. E nel bel mezzo di quella sottile apocalisse croccante, ti avvolge, esplode la crema. Dolce, vellutata, un’orgia di crema che ti scivola sulla lingua e straborda di piacere come una promessa mantenuta. Questa roba è nata nella Lunigiana, e Pontremoli ne è la madre gelosa, protettiva. Siamo alla fine del XIX secolo, un’epoca in cui fare dolci non era uno scherzo. Ma questi non sono dolci per l’epoca: sono fuori dal tempo. Sono l’equivalente culinario di un abito di seta e pizzo che strappa lo sguardo in una folla di flanella grigia. Fanno rumore. E sai cosa? Lo fanno apposta. Chiamarli solo dolci è un insulto. Questo è un incontro ravvicinato del terzo tipo con la pasticceria italiana. Un morso e sei fregato: ci torni, perché il loro segreto è il disastroso equilibrio tra croccantezza e morbidezza. Ti senti quasi in colpa a finirli. Ma se non sai concederti al piacere, non meriti nemmeno di pronunciare il loro nome. Quindi, la prossima volta che hai in mano uno di questi gioielli, non limitarti a mangiarlo. Sposalo, diventa una parte del rituale. E se senti quel lieve senso di peccato, benvenuto nel club. ☕️ #riccardofranchini_pontremoli #riccardofranchini_pasticceria #fblifestyle

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🍰 𝐀𝐧𝐭𝐢𝐜𝐚 𝐏𝐚𝐬𝐭𝐢𝐜𝐜𝐞𝐫𝐢𝐚 𝐝𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐒𝐯𝐢𝐳𝐳𝐞𝐫𝐢. 𝐏𝐨𝐧𝐭𝐫𝐞𝐦𝐨𝐥𝐢.

Sì chiamano gli 𝐀𝐦𝐨𝐫. Un nome che sembra uscito da un romanzo d’altri tempi, un’ode ai piaceri del palato, ma non farti ingannare: questi dolci non sono la solita leziosità da salotto aristocratico. No. Sono una dichiarazione d’amore sfacciata, una carezza sulla guancia che ti lascia l’impronta di zucchero e crema, un bacio denso e bagnato.

Immagina: due dischi di cialda sottile, quasi eterei, così fragili che ti sembra un insulto morderli. Ma tu mordi, eccome se mordi. Si sbriciolano in mille frammenti, quasi come se ti stessero dicendo: “Hai osato toccarmi? Allora prendi questo!”. E nel bel mezzo di quella sottile apocalisse croccante, ti avvolge, esplode la crema. Dolce, vellutata, un’orgia di crema che ti scivola sulla lingua e straborda di piacere come una promessa mantenuta.

Questa roba è nata nella Lunigiana, e Pontremoli ne è la madre gelosa, protettiva. Siamo alla fine del XIX secolo, un’epoca in cui fare dolci non era uno scherzo. Ma questi non sono dolci per l’epoca: sono fuori dal tempo. Sono l’equivalente culinario di un abito di seta e pizzo che strappa lo sguardo in una folla di flanella grigia. Fanno rumore. E sai cosa? Lo fanno apposta.

Chiamarli solo dolci è un insulto. Questo è un incontro ravvicinato del terzo tipo con la pasticceria italiana. Un morso e sei fregato: ci torni, perché il loro segreto è il disastroso equilibrio tra croccantezza e morbidezza. Ti senti quasi in colpa a finirli. Ma se non sai concederti al piacere, non meriti nemmeno di pronunciare il loro nome.

Quindi, la prossima volta che hai in mano uno di questi gioielli, non limitarti a mangiarlo. Sposalo, diventa una parte del rituale. E se senti quel lieve senso di peccato, benvenuto nel club.

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