Articolo precedente 𝐐𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐦𝐚𝐭𝐭𝐢𝐧𝐚 𝐏𝐢𝐭𝐢𝐠𝐥𝐢𝐚𝐧𝐨: 𝐋𝐚 𝐂𝐢𝐭𝐭𝐚̀ 𝐒𝐜𝐨𝐥𝐩𝐢𝐭𝐚 𝐧𝐞𝐥 𝐓𝐮𝐟𝐨, 𝐃𝐨𝐯𝐞 𝐢𝐥 𝐓𝐞𝐦𝐩𝐨 𝐌𝐚𝐬𝐭𝐢𝐜𝐚 𝐋𝐞𝐧𝐭𝐨 C’è un momento, percorrendo la Maremmana che sale a zigzag dalla costa tirrenica verso l’entroterra toscano, in cui la strada si piega e si apre d’improvviso su un miraggio scolpito nella pietra. Sembra che il mondo si fermi lì, su quel ciglio di tufo dove le case si affacciano come ubriache di vertigine. È Pitigliano. Un borgo che non si limita a esistere, ma che si aggrappa alla roccia con la stessa testardaggine con cui si aggrappa alla propria storia, alla memoria, alle leggende, ai silenzi. Pitigliano non è un luogo. È un effetto collaterale del tempo, come le rughe su un volto che ha riso e pianto troppo. ⸻ 𝐋𝐚 𝐩𝐢𝐜𝐜𝐨𝐥𝐚 𝐆𝐞𝐫𝐮𝐬𝐚𝐥𝐞𝐦𝐦𝐞 È facile perdersi nei vicoli che odorano di muffa e miracoli, dove ogni gradino è una messa in scena. Qui, tra le ombre delle cantine scavate a mano, l’anima ebraica ha trovato rifugio secoli fa. I sefarditi, cacciati da altrove, si annidarono in questo angolo dimenticato d’Italia come una promessa non mantenuta. E Pitigliano li accolse, non come stranieri, ma come ingredienti di una stessa zuppa lenta. C’è una sinagoga che resiste dal Cinquecento, intagliata nella roccia come una preghiera mai finita. E sotto, i resti quotidiani: il forno delle azzime, la macelleria kasher, il bagno rituale. Luoghi dove il sacro s’impasta con il fango e il fumo, e la fede ha il sapore della fatica. ⸻ 𝐔𝐧𝐚 𝐟𝐨𝐫𝐭𝐞𝐳𝐳𝐚 𝐧𝐞𝐥 𝐯𝐞𝐧𝐭𝐨 Pitigliano è una città che ha resistito. Agli etruschi che la scolpirono nel tufo, ai conti Aldobrandeschi, agli Orsini, ai Medici che l’acquistarono come si acquista una sedia all’asta, e poi la dimenticarono in un angolo polveroso del Granducato. Le sue mura raccontano guerre senza gloria, assedi noiosi, trattative sporche. Il Palazzo Orsini, massiccio e austero, ti guarda dall’alto come un vecchio generale che sa di non aver vinto, ma nemmeno perso. È stato castello, residenza, roccaforte, museo: oggi ospita le ossa di una civiltà che ha imparato a restare immobile mentre il mondo correva altrove. ⸻ 𝐋𝐞 𝐯𝐢𝐬𝐜𝐞𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐭𝐮𝐟𝐨 Camminare a Pitigliano è come addentrarsi in un ventre caldo. Le vie cave, le misteriose incisioni etrusche, tagliano la roccia come vene. Non si sa davvero perché esistano, ma sembrano condurre l’uomo verso una comprensione più profonda della terra. Ti ci infili, e il silenzio ti assale. Lì il sole non arriva, il telefono non prende, e la modernità si ferma tremante, in attesa di permesso. C’è qualcosa di viscerale qui. Le necropoli si affacciano dai burroni come denti spezzati. Le tombe, umide e nere, ti ricordano che la gloria è sempre stata un affare secondario. La morte, invece, è sempre stata seria. ⸻ 𝐈𝐥 𝐟𝐮𝐨𝐜𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥’𝐢𝐧𝐯𝐞𝐫𝐧𝐨 Il 19 marzo, Pitigliano prende fuoco. È la Torciata di San Giuseppe, rituale arcaico dove un fantoccio d’inverno viene bruciato sotto gli occhi febbrili del paese. C’è qualcosa di pagano, di ancestrale in quella danza di fiamme. Non è una festa. È un esorcismo. Un grido. Una promessa che la primavera tornerà. Sempre. ⸻ 𝐀𝐥𝐥𝐚 𝐟𝐢𝐧𝐞, 𝐢𝐥 𝐬𝐢𝐥𝐞𝐧𝐳𝐢𝐨 Pitigliano è per chi si siede sul bordo di una rupe e guarda le ombre allungarsi come dita. È per chi sa che certe verità non si leggono, si annusano. Per chi capisce che in certi posti non si viene per vedere, ma per essere visti. Perché Pitigliano, in fondo, ti osserva. Ti scruta. E se sei abbastanza paziente, ti racconta. Ma mai tutto. ——— #riccardofranchini_pitigliano #riccardofranchini_maremma #riccardofranchini_toscana #riccardofranchini_viaggi