🍷 𝐋𝐚 𝐌𝐚𝐫𝐞𝐦𝐦𝐚 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐥𝐚 𝐓𝐨𝐬𝐜𝐚𝐧𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐭𝐢 𝐚𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐢. È ruvida, selvaggia, testarda. Qui si mangia per fame, non per scena. Cinghiale, pane raffermo, vino rosso che sa di polvere e sole. Ogni piatto è un pezzo di terra, sudore, memoria. Ecco i primi cinque piatti che mi vengono in mente e che in questi giorni vi mostrerò dove gli ho provati. 𝟏. 𝐀𝐜𝐪𝐮𝐚𝐜𝐨𝐭𝐭𝐚 Non c’è nulla di più umile, né di più onesto. L’acquacotta nasce dai pastori e dai carbonai, uomini che cucinavano con quello che avevano e non con quello che volevano. Cipolla, sedano, un filo d’olio che sa di oro verde, pane raffermo e un uovo appena colto, rotto sopra come un sigillo di dignità. È una zuppa, sì. Ma anche una poesia. E ogni cucchiaio ti parla di sopravvivenza, di resilienza, di casa. 𝟐. 𝐓𝐨𝐫𝐭𝐞𝐥𝐥𝐢 𝐌𝐚𝐫𝐞𝐦𝐦𝐚𝐧𝐢 Questi non sono i classici ravioli che trovi nelle trattorie pettinate da Instagram. I tortelli maremmani sono grandi, quasi sfacciati, carichi di ricotta e bietole, e grondanti ragù. Quando li addenti, senti l’eco delle nonne che li hanno chiusi a mano, parlando di pioggia, raccolti e uomini testardi. È il tipo di piatto che non ti cambia la vita, ma te la ricorda. 𝟑. 𝐂𝐢𝐧𝐠𝐡𝐢𝐚𝐥𝐞 𝐢𝐧 𝐮𝐦𝐢𝐝𝐨 Il cinghiale qui non è solo un animale, è quasi una divinità pagana. Venerato, cacciato, cucinato. La carne viene marinata a lungo nel vino, con ginepro, aglio e alloro, poi cotta lentamente finché non si arrende al sugo di pomodoro. Non è un piatto. È un racconto epico di sangue, terra e vino. Se lo mangi in una sagra di paese, sotto le luci gialle e le voci che rimbalzano nei bicchieri, capisci che non serve altro. 𝟒. 𝐒𝐜𝐨𝐭𝐭𝐢𝐠𝐥𝐢𝐚 Immagina un’orgia carnivora, ma con grazia. La scottiglia è un miscuglio di carni che si cuociono insieme come se fossero nate per fondersi. Coniglio, pollo, manzo, maiale. Tutto in un unico calderone, in una danza lenta col pomodoro. Servita sul pane bruscato, è la Maremma che ti prende per la gola e ti sbatte in faccia la sua verità: qui si mangia per vivere, e si vive per mangiare. 𝟓. 𝐒𝐟𝐫𝐚𝐭𝐭𝐢 𝐝𝐢 𝐏𝐢𝐭𝐢𝐠𝐥𝐢𝐚𝐧𝐨 E poi arrivano loro, gli sfratti, che sembrano bastoni ma sono dolci, e portano con sé una storia antica e struggente. Arrivano dalla comunità ebraica di Pitigliano, che ha resistito tra queste colline come una sinfonia nascosta. Dentro: miele, noci, spezie, la memoria. Fuori: un guscio croccante e dorato. Mangiarlo è come leggere un libro scritto con farina e zucchero, dove ogni morso è una pagina dimenticata. ——- #riccardofranchini_storie_di_cibo #riccardofranchini_maremma

www.facebook.com/share/p/16uX7MqmyZ/

Clicca☝️

Lascia un commento